Il momento più bello è quando il capitano riesce a disattivare l’intelligenza artificiale del “pilota automatico”, e con un semplice gesto ricorda (anche a noi) che era soltanto un timone. La tradizione dei capitani di mare – sembra volerci dire – non è morta, e anche in un futuro ipertecnologico solcare lo spazio può essere come navigare.

Più di altri film Disney, Wall-E parla attraverso le immagini, portando nell’animazione 3D un gusto della fotografia, della composizione di immagine che è proprio del cinema tradizionale. Ma è forse nel character design dei personaggi che offre le più interessanti chiavi di lettura.

In Wall-E ed EVE si confrontano, a ben guardare, due diverse proiezioni dell’immaginario tecnologico: laddove il primo rispecchia le promesse della fantascienza “ottimista” e ingenua degli anni ‘70-’80, la seconda è figlia della tecnologia contemporanea e della sua pretesa di perfezione estetica. Se allora per Wall-E la somiglianza con il robot Johnny 5 del film Corto Circuito non stupisce, il design di EVE va identificato, più che con le forme accoglienti della Space Age anni ‘70, con i rivestimenti patinati dei moderni iPhone.

Meccanico ed elettronico, relais e circuiti, Commodore ed Apple. Ed è bello che sia il primo a trasformare il secondo, in attesa che arrivi l’uomo a riprendere le redini. L’uomo che, pur nell’incubo tipicamente cyberpunk di una tecnologia pervasiva ed anticipatrice dei bisogni, rivela qui – in una proiezione decisamente ottimistica – di non aver perso l’attaccamento alle proprie radici.

Ma il film è da vedere, a parer mio, anche per chi – magari per motivi anagrafici – non è in grado di cogliere queste sfumature. Mi torna in mente un paragrafo da “Le anime disegnate” di Luca Raffaeli, dedicato al coniglietto Tippete di Bambi:

Nel pronunciare quest’ultima frase, il coniglietto è a figura intera sullo schermo, e la scena è tutta sua. Una fiducia ben riposta perchè l’animatore Milt Kahl riesce a compiere uno dei suoi capolavori. In sedici secondi di filmato si possono contare ben undici diverse espressioni del coniglietto, difficili da elencare per come si fondono l’una nell’altra, ritornano, si nascondono, per poi emergere di nuovo. Le indicazioni, per il giovane attore Peter Behn che dava la voce al personaggio, erano: “Thumper comincia a parlare come meccanicamente, poi si ferma a pensare rigido”. Nell’animazione di Johnston il coniglietto respira prima di cominciare a rispondere, in un’evidente atteggiamento di frustrazione, e inizia a far ruotare il piedone sinistro, com’è sua abitudine nei momenti di agitazione. Poi chiue gli occhi e spinge in fuori il musetto per far uscire la lezioncina che il padre gli ha dettato. Qui c’è la pausa, in cui sembra che Thumper non ricordi più nulla, alza gli occhi al cielo come a cercare il resto della frase, poi ricomincia a parlare abbassandosi verso terra con le orecchie all’ingiù e lo sguardo volto timidamente verso la madre, a cercare il suo sosegno. Quando sta per terminare le rivolge direttamente lo sguardo gonfiando il petto d’orgoglio. Per un attimo poi gli balza alla mente che quella che sta subendo è in effetti un’umiliazione bella e buona. Allora il petto si sgonfia e Thumper assume con tutto il corpo una posizione imbronciata, e allo stesso tempo di sottomissione. Si rialza e torna ad asnnusare l’aria (e quindi a fare il normale coniglietto) quando l’attenzone si sposta su Bambi. Ripeto: tutto questo in soli 16 fantastici secondi. Da notare peraltro le orecchie di Thumper: in tutti i passaggi descritti si muovono in modo da sottolineare le espressioni del coniglietto, facendo anche da contrappeso e dunque offrendo al personaggio tutto l’equilibririo e la solidità necessaria alla credibilità, della quale Disney tanto si raccomandava. Come si può far di più?

Come non dire lo stesso di Wall-E?