La morte non è una fine, e neppure una perdita dell’io individuale in una totalità. E’ un passaggio, superato il quale ciascuno di noi continua, come già nella vita, a cercare, a cambiare, a evolversi.

Tendo ad essere scettico sulle possibilità di un’esistenza dopo la morte. Però queste parole, che tanti anni fa mi disse un tipo che faceva, parole sue, “esegesi di testi sacri”, in qualche modo si sono depositate in me. Tra il dolce e l’amaro.

Sarebbe un po’ – mi viene da pensare – come quando chiudiamo la copertina di un libro. La storia si conclude, ma sappiamo che nel suo mondo il protagonista continua a esistere. Semplicemente noi non saremo più lì ad osservarlo. Cerchiamo allora qualche piccolo indizio che possa suggerire cosa ancora accadrà. Quali nuove avventure lo attenderanno, e come queste lo cambieranno.

Di un artista, mi chiedo allora quali nuove creazioni – che non vedremo mai – darà alla luce, esprimendo la sua personale visione del mondo. Di uno scrittore, quali nuove storie – che non potremo mai leggere – metterà su carta. Di un intellettuale, come commenterebbe il nostro presente, dal proprio unico, irripetibile punto di vista.

E poi ci sono i “nostri” estinti: le persone care che ci hanno lasciato. Ecco, in quest’ottica il lutto appare come una cosa perfino buffa. Fissiamo una fotografia, ricordiamo una conversazione, e in quell’immagine “chiudiamo” l’essenza di una persona. Mentre quella – magari – oggi è diversa.

Diversa come potrebbe essere un amico che non vediamo da cinque o dieci anni e di cui ci illudevamo di sapere tutto. Diversa e forse ancora più vicina – nelle nuove occasioni che gli ha dato l’esperienza – a capirsi e comprendersi. E quindi, chissà: forse ancora più felice.