Sono trascorsi più di dieci anni dall’ultima volta che l’ho vista.

Erano anni ferventi, di passione acerba e militante per cause che, ai miei occhi, apparivano non meno che imprescindibili. La conobbi in in uno dei tanti consessi umani che, all’epoca, fui portato a frequentare.

I ricordi non sono molti. Un caffè condiviso alla Feltrinelli. Poi, tempo dopo, una cena sociale e un vivace scambio di opinioni. L’argomento era l’evoluzione naturale: alla mia speranza, stoica, in un disegno intelligente lei oppose la parola della scienza.

Eppure – a quei miei occhi colmi di ingenuità – lei non apparve fredda. Al contrario la ricordo sagace, volitiva e insieme serena, di una serenità che accoglie l’altro e la sua domanda. Come me si stava costruendo, un pezzo alla volta.

Chissà dove l’avrà portata la vita, chissà come e quanto sarà diversa oggi. Qualcosa mi porta a pensare che non abiti più qui.

Di lei mi resta solo una parola, esotica e bizzarra come un codice da decifrare: anybazar. Fa parte della sua e-mail. Ma io non le scriverò.