(immagine dal film di Emidio Greco ispirato al romanzo)

Riprendendo gesti e scenari del suo primo libro, le Sette storie gotiche, ma immettendoli in un gioco se possibile ancora più affilato, in una occulta matematica delle immagini, Karen Blixen ci racconta qui la storia della splendida vergine guerriera Ehrengard e del demoniaco pittore Cazotte, che vuole sedurla – ma senza neppure sfiorarla, facendola solo arrossire di complicità (così vuole la sua suprema perversione di artista) –, mentre intorno a loro e attraverso di loro si intreccia una contorta trama dinastica, in un felice, piccolo regno da operetta.

adelphi, presentazione del romanzo

Il romanzo breve “Ehrengard” di Karen Blixen è stato uno degli incontri più felici della mia giovinezza. E non tanto per ciò che racconta – e qualcosa, nondimeno, racconta -, ma per quella vertiginosa complessità che celano i suoi personaggi, appena dietro quella che è la prima sensazione del lettore.

Con queste parole il pittore Wolfgang Cazotte risponde alla duchessa di Babenhausen, quando questa gli confida la sua preoccupazione per l’apparente indifferenza del figlio al fascino femminile:

«Consentite – le disse – che io cerchi di esprimere quel che sento. Ci sono nature di così rara elevatezza che in loro nessuna qualità e nessuna condizione saranno mai negative.

Compenetrata da un animo simile, ogni singola tendenza partecipa della sua purezza e della sua integrità. La plastica unità di uno spirito elevato non conosce alcun conflitto, per lui natura e ideale sono una cosa sola. Anche l’idea e l’azione sono una cosa sola, dal momento che l’idea è un’azione e l’azione un’idea.

Quando il Principe Lotario farà la sua scelta, la farà da un istante all’altro e con tutto sé stesso.»

E ancora, così lo stesso Cazotte descrive i propri progetti di seduzione nei confronti di Ehrengard, giovane e impassibile guerriera che dà titolo al romanzo:

Quale sarà adesso, per il vero artista, la fine fleur dell’essere di questa fanciulla? In quale atto, al momento prescelto, una natura come la sua si concederà più totalmente? Me la sono raffigurata in ogni possibile situazione e atteggiamento, che è già di per sé un piacevole diversivo. E sono giunto a una conclusione. Nel rossore.

Così, a tempo debito, dovrò far scorrere il sangue della mia giovane Amazzone, non in rivoli sul terreno, ma in un fiotto che erompa dalle più profonde, più segrete e sacre sorgenti del suo essere sino a coprirla tutta come un trasparente velo cremisi e a darle fuoco in una sola, splendida vampata di fiamma.

Se sono riuscito a metterla in un ambiente e in una situazione che ben potrebbero imporporare il volto di un’altra vergine, non desidero davvero che lei arrossisca per riluttanza, o per timore di affrontare i pericoli che la circondano. No, il suo sangue deve ardere per orgoglio e amour-propre, in una resa incondizionata a quei pericoli, nell’estatico abbandono di tutto il suo essere a quelle forze che, fino a questo istante, con tutto il suo essere ella ha respinte e negate.

Altere, avvolte in un’indifferenza quasi regale: così sono le figure disegnate dalla Blixen. Eppure, dietro tale ritrosia si intravede sempre una vertiginosa profondità che potrebbe in qualsiasi momento rivelarsi.

Cosa servirà allora – pare chiedersi l’Autrice – per trascendere in un sol colpo la distanza che ci separa dall’Altro? Forse l’attesa paziente, in una matematica di segni, della giusta circostanza?

Per soddisfare la curiosità della Principessa, Ehrengard fu costretta a pensare a Kurt von Blittersdorff molto più di quanto avesse fatto sino a quel momento. Kurt, disse alla Principessa, si era battuto molte volte a duello.

“Ma voi non eravate atterrita, fuori di senno per la paura e l’angoscia?” domandò Ludmilla.
“Kurt è un ottimo spadaccino a rispose Ehrengard. “Ha insegnato a tirare di scherma anche a me”.

“L’avete mai baciato, Ehrengard?” volle sapere Ludmilla dopo uno dei suoi lunghi silenzi.
“Si, l’ho baciato molte volte quando eravamo bambini” disse Ehrengard. “E mio cugino. Quando era a scuola veniva a passare le vacanze a Schreckenstein”.

Dopo un altro silenzio Ludmilla le domandò: “Avete mai condiviso un segreto, voi due?”.
“Sì” rispose di nuovo Ehrengard. “Quando i ragazzi facevano qualche scappatella, e io li aiutavo perché papà non venisse a saperlo”.

La Principessa rimase zitta, poi tutt’a un tratto, a bassa voce, proruppe: “Fate in modo di avere un segreto con lui. Qualcosa che, in tutto il mondo, sapete soltanto voi e lui. Allora sentirete che lui è voi e voi siete lui”.

O forse, semplicemente, il vincolo intimo e prezioso di un segreto in comune?

Una cosa è certa. Se fosse musica, sarebbe rarefatta ed enigmatica come le Gnossiennes che ci ha regalato Erik Satie.