Nel film “La scuola cattolica” di Stefano Mordini, ispirato ai fatti tragici della strage del Circeo, c’è un momento di grande felicità espressiva. Due ragazze fanno autostop verso casa, e Carlo, uno dei protagonisti, offre loro un passaggio. Le due – limpide, intraprendenti, si intuisce anche desiderose più che mai di mettersi in gioco nella partita della vita – sono ignare delle tragiche conseguenze che questo incontro causerà solo pochi giorni dopo.

Sulle note de “La collina dei ciliegi” di Battisti le due cantano a squarciagola, ridono, si scambiano occhiate d’intesa, invitano Carlo a unirsi al coro. La loro spensieratezza è travolgente, palpabile: forse anche legata all’entusiasmo di aver conosciuto un nuovo ragazzo.

Ecco che però a un certo punto, proprio mentre la canzone di Battisti declina verso una coda nostalgica, Donatella – splendidamente interpretata da Benedetta Porcaroli – si immerge nei propri pensieri, portandoci per un attimo lontano dal “qui e ora”.

Chissà dove si pensa, dove proietta sè stessa in quello sguardo trasognante che scommetto resterà a lungo nei ricordi di chi ama il cinema. Sembra, forse, custodire la consapevolezza che l’entusiasmo di un momento ha il suo giusto contrappeso nella necessità dell’attesa. Della comprensione di sè e dell’altro, giorno per giorno.

Quanto seguirà, purtroppo, è triste cronaca nera.

Ecco, è forse questa la lezione che la scuola cattolica, la stessa che dà titolo al film, non è stata in grado di dare. Che il Male – da cui pure mette in guardia – non è nel desiderio in sè, quanto piuttosto nell’indisponibilità dell’uomo a trasformare il proprio desiderio. A far sì che evolva, un passo alla volta, nella conoscenza dell’altro e nel rispetto della sua libertà.