Augusto Cavadi è un filosofo palermitano, da anni impegnato come volontario presso la Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”, da lui fondata nel 1992 per l’educazione intellettuale e morale di chi voglia impegnarsi contro il fenomeno mafioso.
Volontariato in crisi: diagnosi e terapia (Il Pozzo di Giacobbe, 2003) è un breve ed agevole libretto che nasce dalla constatazione diretta di quanto il sistema del volontariato (in Italia, ma non soltanto) tenda a lavorar male al proprio interno e manchi di sostanziale incisività trasformativa sulla società. Il tentativo è allora quello di scandagliarne le cause profonde e mettere in moto possibili “terapie”. Per quanto siano trascorsi vent’anni dalla sua pubblicazione, reputo che molte delle tesi che esprime mantengano ancora oggi inalterate la propria forza.
In estrema sintesi (ma consiglio, a chi fosse interessato, la lettura dell’intero testo), l’autore individua la necessità di rifondare le attività dei presidi di volontariato su solide basi politiche, culturali ed etiche. Mi hanno colpito in particolare le riflessioni maturate intorno a quest’ultimo nodo, che riporto quasi per intero:
Senza una dimensione politica e senza una dimensione culturale, dunque, il volontariato rischia di morire. Ma, per completare e concludere in qualche modo il dicorso, va aggiunto che senza una dimensione etica non nasce neppure. Chi decide di bussare alle porte di un’associazione di volontariato può avere mille motivazioni psicologiche, ma – più o meno germinalmente – in esse di nasconde un desiderio di solidarietà, di servizio e di comunione.
La questione cruciale è che, troppo spesso, questo desiderio abortisce per strada. La pigrizia, il pressappochismo, la superficialità sono tentazioni incombenti anche su chi, scegliendo il volontariato, è mosso a compassione per il volto sofferente dell’altro e decide di accarezzarne i tratti induriti dal dolore e dalla delusione. Senza contare lo sconforto derivante dalle delusioni e dalle ingratitudini: quando si intraprende una presenza nel mondo dell’indigenza, si tende a idealizzare i propri interlocutori e solo col tempo si apprende che “i poveri non ci sono per esaltare la nostra bontà, ma perché è grande l’ingiustizia nel mondo, cui i poveri a volte fanno fronte con un’umanità che resta inviolata, a volte con una furia che distrugge anche il bene che ricevono”¹.
La serietà e la coerenza etica si apprendono per contagio diretto: non c’è niente di più fecondo della comunanza di vita con qualche persona che, senza pose esibizionistiche né atteggiamenti leaderistici, testimonia nella quotidianità dell’impegno, il suo essere-per-gli-altri.
Se non si ha la fortuna di incontrare simili testimoni ‘profetici’, non c’è comunque ragione di scoraggiarsi. La costanza, la trasparenza, l’efficacia duratura del proprio agire si possono guadagnare gradualmente, giorno dopo giorno, con pazienza verso i propri errori e con la mente fissa verso gli obiettivi prescenti. L’essenziale è che questi obiettivi siano quanto più chiari e completi possibile. Non ha senso che il volontario si prefigga la perseveranza nel proprio impegno se ai suoi occhi si tratta solo di un appuntamento settimanale da rispettare, senza rimettere in discussione tutto il suo modo di essere-nel-mondo. Mi intendo riferire all’illusione, prima o poi capovolta in delusione, che si possa ‘fare’ il volontario in alcune ore o in alcuni giorni, senza rivedere il proprio modo di ‘essere’ abitualmente cittadino del mondo: dunque continuando ad avere con il proprio tempo, con i propri soldi, con i propri simili, con gli animali, con l’ambiente naturale… un atteggiamento di distruzione, o, peggio, di consumismo e di sfruttamento. La fedeltà alla propria identità, per quanto segnata da inevitabili ritardi e incoerenze, sarà possibile se il volontariato perderà le caratteristiche un po’ esotiche di scelta di vita eccezionale e diventerà il volto quotidiano del cittadino adulto.
Abbiamo visto che sono indispensabili momenti di aggiornamento culturale in cui confrontarsi criticamente con quanto gli specialisti vanno elaborando in politologia, storia, sociologia, economia, psicologia, scienze religiose e così via. Ma non meno essenziali sono dei momenti di silenzio e di confronto amichevole per scoprire, o riscoprire, se il tran-tran quotidiano le ha fatte smarrire, le radici etiche del proprio impegno socio-politico. Ogni persona umana ha infatti, più o meno consapevolmente, una visione del mondo (religiosa, atea, agnostica…): da ciascuna di queste ‘filosofie’ possono scaturire – e scaturiscono di fatto – delle conseguenze pratiche ed operative sia di tipo rinunciatario ed oggettivamente conservatrici, sia di tipo costruttivo ed oggettivamente progressiste. È importante, dunque, che ciascuno ripensi, a partire dalle proprie radici etiche di fondo, il suo atteggiamento nei confronti della società: nella speranza che, radicato a questi livelli di consapevolezza profonda, il proprio impegno sia meno soggetto alle variazioni degli umori e delle mode.
A queste – a mio avviso – validissime considerazioni mi permetto di aggiungerne una io: forse vale anche l’inverso. Talvolta può essere proprio l’attività di volontariato, espressa nell’aiuto concreto a chi ne ha bisogno, vissuta nel contatto diretto con il dolore altrui, a trasformare l’individuo. A far sedimentare con il tempo radici etiche profonde lì dove inizialmente vi era solo un’imprecisata vocazione, contribuendo alla crescita umana e morale dell’individuo.
Per questo mi sento di lanciare, idealmente, un messaggio a tutti coloro i quali rivestono posizioni di responsabilità negli enti di volontariato: cercate anzitutto di accogliere chi vi si avvicina, in particolare se giovane e inesperto; di ascoltare la sua domanda, per quanto ingenua e vaga questa possa essere; di elaborare, insieme a lui, un linguaggio comune che lo faccia sentire parte del vostro progetto e gli consenta di mantenere costante nel tempo il suo impegno.
Anche il più confuso dei giovani è comunque, in quel momento, qualcuno che sta valutando di far proprio un essere-con-l’altro che non sia puro scambio mercantile e consumistico. Sono scintille preziose: se non nutrite con sollecitudine, rischieranno – nel passaggio alla vita adulta – di spegnersi per sempre.