Il personaggio mitologico del fumetto si trova ora in questa particolare situazione: esso deve essere un archetipo, la somma di determinate aspirazioni collettive, e quindi deve necessariamente immobilizzarsi in una sua fissità emblematica che lo renda facilmente riconoscibile; ma poiché è commerciato nell’ambito di una produzione ‘romanzesca’ per un pubblico che consuma ‘romanzi’, deve essere sottoposto a quello sviluppo che è caratteristico, come abbiamo visto, del personaggio del romanzo.

umberto Eco, “Apocalittici e integrati”

Immobilità e cambiamento. Mitologia e continuity. Fra questi due poli si destreggiano, oggi come ieri, gli eroi del fumetto seriale. Nel continuo avvicendarsi – di comprimari, contesti narrativi, epoche – persiste, in qualche modo, la consapevolezza della loro invincibilità. Non ci sarà battaglia che non potranno vincere o dalla quale, per lo meno, non potranno risorgere. Ed è proprio nel corpo dell’eroe che si incarna il suo mito, in quel corpo che ad ogni nuova avventura si ripresenta intatto, in barba agli anni che passano e alle battaglie combattute.

La miniserie in tre parti “Batman: Three Jokers” di Geoff Jones e Jason Fabok, da poco uscita negli USA e in corso di pubblicazione in Italia, ha grandi pretese e al contempo tanti difetti. C’è però una sequenza di tavole del primo albo che vale l’intera serie: tavole che definirei sinestetiche per la capacità di evocare la totalità di uno stato d’animo.

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Di ritorno dall’ennesima ronda, Bruce Wayne mostra il suo corpo, e questo appare segnato da decine di cicatrici, offeso da tanti scontri che lui stesso mentalmente rievoca. In un istante l’eroe sembra perdere la propria dimensione mitica, atemporale, per caricarsi del peso della sua storia.

Ben presto però il suo pensiero ritorna, con fotografica precisione, al giorno in cui vennero uccisi i suoi genitori. I dolori fisici delle battaglie combattute, la stessa folle risata del Joker che tanto ha oltraggiato il suo corpo, sembrano eclissarsi davanti al dramma centrale della sua esistenza. È proprio lì, nel luogo del suo trauma, che l’eroe confessa la sua più intima natura: la volontà di porre fine al male che lo ha ferito.

E nel suo farsi volontà – determinata, indistruttibile volontà – riesce in un attimo a trascendere il proprio corpo e a ritrovare, ai nostri occhi, l’integrità smarrita.